Esulando dalla tragedia dell’Emilia-Romagna, è il caso di spendere due parole sulla questione Groupalia che al nuovo terremoto di questa mattina, indirettamente e purtroppo, si lega. Per chi si fosse perso i fatti ecco un piccolo riepilogo: questa mattina l’account @groupaliaIT lancia il tweet raffigurato nell’immagine; l’hashtag #terremoto è una grossa scorrettezza perché lega un argomento che non c’entra nulla a un tema di discussione infuocato e importantissimo come il terremoto in Emilia-Romagna (#terremoto è a lungo in testa nei TT Italia). Un argomento tragico che è indelicato associare a una pubblicità, soprattutto con l’inganno.
A questo punto succede esattamente quello che l’autore del tweet ha pianificato, e che erroneamente viene identificato come un novello social media editor (o sinonimi). La rete si infuoca e inizia ad attaccare Groupalia, che finisce addirittura – anche se per poco – al quinto posto dei TT, proprio quando scompare il tweet incriminato e ne compare un altro di scuse. Fioccano i post e i messaggi di indignazione ma sarebbe semplicistico accusare l’azienda di aver commesso una leggerezza.
La questione della reputazione in rete è purtroppo – ancora – subordinata alla questione della reputazione in generale. Quanti si ricorderanno dell’accaduto tra qualche giorno? E quanti cancelleranno l’iscrizione dal servizio e smetteranno di acquistarne i coupon?
Non è vero che Groupalia ha subito un danno d’immagine, anzi. Nell’articolo uscito su Lastampa.it compare una stampa video del profilo di Groupalia Italia che risale a questa mattina. Con un piccolo sforzo, si può leggere che l’account aveva, al momento della “fotografia”, 5.083 follower. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, i follower sono diventati 5.162! Circa 80 follower in più nonostante la figuraccia. Ma siamo davvero sicuri che Groupalia, che nel frattempo è stata citata in home page sui siti dei principali quotidiani italiani – in un giorno di enorme flusso di visitatori, abbia subito un danno?
La mossa è invece geniale nella propria malvagità. Con un semplice tweet (anzi due, di cui il secondo è obbligato e serve a lavarsi la coscienza in pubblico ed evitare rischi di denunce) il brand ha ottenuto una visibilità che mai avrebbe ottenuto anche acquistando inserzioni ovunque. Il marketing ne perde in buon senso, ma è bene interrogarsi su dove stia il limite del buon senso in un mondo pubblicitario (ma più che altro di comunicazione virale) in un mondo in cui sembra che l’etica non venga nemmeno contemplata. Basta guardarsi indietro per scoprire che Groupalia non è il primo brand “senza scrupoli”, e nemmeno il più spietato. Del resto, quando qualcosa è “virale” è per definizione un messaggio che fa leva sull’emotività per stimolare la propria diffusione, nel bene e nel male.
«Non importa che se ne parli bene o male, purché se ne parli» [Oscar Wilde].