Giacomo Balla “Velocità astratta (è passata l’automobile)”, olio su tela, 1913

Caratteristica del web è l’elevata velocità di diffusione delle informazioni, quello che ha praticamente cambiato il mondo negli ultimi 30 anni. Oggi è possibile comunicare in maniera immediata con una persona che si trova dall’altra parte del globo al pari del nostro vicino di scrivania. La diffusione dei social network ha amplificato questo fenomeno (soprattutto con i siti di micro-blogging come Twitter o Tumblr) rendendo chiunque, con pochissimi mezzi, in grado di accedere a strumenti di tale potenza comunicativa.

Se i seguaci di Filippo Tommaso Marinetti fossero ancora in vita, probabilmente sverrebbero dall’emozione, perché la mitizzazione della velocità e del progresso raggiunge in questi media l’apice della propria realizzazione. Sarebbe possibile far meglio solo inventando il teletrasporto. Quello che forse i futuristi non avevano considerato (e che un secolo fa non avrebbero nemmeno potuto concepire) è che la velocizzazione della diffusione di informazioni impone anche una velocizzazione nella produzione dei contenuti; altrimenti, in poco tempo, non avremmo più nulla da dire. In effetti sta succedendo proprio questo. Le comunicazioni sono aumentate esponenzialmente grosso modo negli ultimi cinque anni, i contenuti diffusi non sono aumentati di pari livello (dando la percezione errata di essere addirittura diminuiti), generando un immenso traffico di ridondanza.

Per questo penso sia necessario chiedersi se e come abbia senso insistere sulla diffusione veloce di ogni genere di contenuto oppure differenziare ciò che può essere prodotto e spedito in breve tempo da ciò che invece deve essere “atteso”. Per chiarezza, una normale conversazione tra due persone che si chiedono “come stai?” può subire questa velocizzazione estrema, in quanto non richiede particolari sforzi di produzione dato che essa fa riferimento a uno schema prestabilito che la rende uguale a innumerevoli altre. Diversamente, la produzione di un contenuto nuovo e verificato richiede tempo, e deve essere slegato dai tempi di diffusione, proprio perché è nuovo. Altrimenti rischierebbe di essere una copia di qualcos’altro.

Nel mare di informazioni che allaga l’antroposfera è sempre più complicato produrre qualcosa di nuovo (ci sarebbe persino da ragionare sul concetto stesso di “nuovo”), e forse è così già da parecchio tempo, ma si apre un grandissimo spazio per la riscrittura, intesa come ridefinizione di contenuti già esistenti per la produzione di nuove conclusioni (è anche un genere letterario). Anche la riscrittura però richiede tempo. Pensandoci, però, trasferire un messaggio da un canale all’altro equivale a farne una riscrittura. Lo facciamo da millenni, più o meno da quando gli uomini iniziarono a comunicare con le pitture rupestri. Sto forzando, ma è per spiegare meglio il concetto.

Ha dunque senso insistere sulla velocizzazione della produzione di contenuti? Essa non crea significati, ma produce ridondanza ottenendo l’effetto opposto: svuotare di significati qualsiasi cosa. La tendenza a fare del web un canale unico, creando un immenso minestrone di contenuti, porta verso l’omologazione delle trasmissioni all’esasperazione della velocità. Il canale è però difficilmente utilizzabile in altra maniera, ma mi chiedo se, piuttosto che sviluppare innumerevoli servizi di curation (che per la loro numerosità creano nuova ridondanza) non sia più opportuno capire come impostare diverse velocità per certi tipi di trasmissione, ma soprattutto come “educare” gli utenti a utilizzarli e ricercarli. Nel frattempo, proviamo a definire quali comunicazioni possano andare più veloci delle altre, e quali richiedano calma.

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