I recenti avvenimenti sul web hanno messo in luce ancora una volta l’ampia spaccatura tra giornalisti e pubblico. Sul discorso affrontato nel mio post precedente, ho trovato qui una buona tesi che chiarisce bene come stiano le cose. Attualmente il pubblico è più competente dei giornalisti. Il motivo è forse il seguente: il pubblico utilizza i cosiddetti nuovi media da molto più tempo e per molte più ore al giorno, senza alcuna remora nell’esplorazione di ogni potenzialità.
Ma c’è un altro fenomeno che possiamo definire fisiologico e che lega in maniera inscindibile pubblico e giornalisti. Pensiamo alla nascita dei giornali, tornando per un attimo nel XVII secolo, quando comparvero i primi fogli d’informazione. Essi erano “compilati” da persone che svolgevano “altre” professioni e che si sono inventate una professione nuova, oggi conosciuta come quella del giornalista, anche se probabilmente in maniera inconsapevole. Storicamente, quindi, nasce prima il pubblico dei giornalisti, perché sono poi i giornalisti che emergono dal pubblico.
La situazione attuale, che ci regala epic fail divertentissimi – per il pubblico – come il recente #poernano, occasione nella quale la giornalista del Sole 24 ore Rosanna Santonocito ha rimediato una figuraccia che resterà nella storia, è normalissima. Come pubblico dobbiamo avere un po’ di pazienza e aspettare che i giornalisti si modernizzino, o che semplicemente nasca un nuovo modo di fare giornalismo con nuovi giornalisti (il cosiddetto new journalism?). Come giornalisti dobbiamo darci una mossa e imparare a relazionarci con i lettori in maniera diretta e continua: è questa, forse, la vera novità del new journalism. La maggior parte di noi non è abituata o semplicemente non è in grado di ammettere il benché minimo errore.
C’è anche da dire che la rete è piena di provocatori di professione, che pur di mettere alle strette il giornalista di turno (chiunque esso sia) sono capaci di tempestarlo di messaggi al limite dello stalking, guadagnando o sperando di guadagnare qualche minuto di notorietà. Al netto di queste eventualità, il nuovo giornalista ha da venire perché prima dei giornalisti devono cambiare i giornali, i quali sono il vero “tappo” sullo sviluppo di nuove pratiche professionali, in grado di introiettare tutte le nuove competenze del pubblico. E parliamo di conoscenze legate principalmente alle specifiche tecniche del mezzo (ad esempio il significato della @ su Twitter per la Santonocito) e alle sue potenzialità comunicative (l’uragano #Sandy e le foto false su Instagram). Certamente nessuno – nemmeno tra il pubblico – ha trovato la formula per il giornalismo 2.0 nell’era dei social network. Del resto, si impiegarono quasi due secoli per passare dai fogli informativi del Seicento a giornali definibili tali. Penso che, comunque, noi impiegheremo qualche anno in meno.
I giornalisti sono un prodotto del pubblico. Ma prima di rinnovare loro, bisogna rimuovere il “tappo” dei giornali.
Quanto alla verifica delle fonti, bisogna sottolineare un aspetto chiarissimo solo per chi sta dentro alla professione: la carenza di mezzi. Non mi riferisco a competenze tecniche, ma a un aspetto meramente economico. Il collaboratore è pagato sempre meno e la disponibilità di informazione quasi completamente gratuita va a restringere il budget dedicato al pagamento dei giornalisti. Immaginate quanto possa essere divertente e accurato lavorare gratis, magari dopo una giornata di lavoro “vero” per guadagnare soldi “veri” per vivere. Il rischio è che il giornalismo diventi un secondo lavoro volontario, perdendo in accuratezza, precisione, puntualità e qualità. Con una minore quantità di tempo da potervi dedicare, scende, per forza di cose, la quantità di tempo dedicata alla verifica delle fonti. E poi quanto ne varrebbe ancora la pena?
Per tornare al discorso iniziale, siamo in una fase di rifondazione dei giornali, dove sarà il pubblico stesso a sfornare nuovi giornalisti, i quali occuperanno il posto di quelli vecchi. Ci vogliono però risorse economiche, perché anche nel XVII secolo i primi fogli nacquero grazie a finanziamenti di uomini facoltosi. La storia si ripete? Forse sì. Il discorso è molto più complesso, e come accade con i fenomeni in divenire, è ancora prematuro trarre delle conclusioni. Di certo, le varie Santonocito hanno due scelte: cambiare o lasciare il posto a chi verrà dopo di loro.