La Associated Press, una delle più importanti agenzie di stampa del mondo, ha inserito nel proprio ‘Stylebook’ (linee guida per la scrittura, ndr) la disposizione sul divieto di utilizzo di parole come “omofobia” o “islamofobia” che, secondo AP, non si riferirebbero a situazioni precise ma confonderebbero il lettore, poiché afferenti a diagnosi mediche.  L’alternativa è descrivere nel dettaglio di cosa si stia parlando, se di persone contrarie al matrimonio gay o all’ingresso (o meglio, al coming out) dei gay nell’esercito, e via così. Una decisione molto criticata, chiamare le cose con altri nomi è la soluzione giusta?

logo_poynterTraduzione dell’articolo di Andrew Beaujon, pubblicato su Poynter il 28 novembre 2012.

Il presidente di NLGJA: «Probabilmente AP fa bene a scoraggiare l’uso della parola omofobia’»

In un’email a Poynter, il presidente della National Lesbian and Gay Journalists Association, Michael Triplett, ha detto che la decisione di Associated Press di scoraggiare l’uso del termine ‘omofobia’ ha «avviato una serie di interessanti discussioni tra i membri di NLGJA».

«Il senso generale è che probabilmente AP ha ragione nell’ambito del significato letterale della parola ‘omofobia’, che quindi non è il modo migliore per descrivere azioni o convinzioni anti-gay. Dall’altro lato, però, questa decisione priva gli articolisti di un termine – come ‘razzismo’ o ‘sessismo’ – che descrive il sentimento anti-gay».

«Non so se NLGJA cambierà il proprio Stylebook oppure no a seguito del recente pronunciamento di AP» scrive Triplett. Le disposizioni del gruppo al momento invitano gli articolisti a «Ridurre l’uso significativo a citazioni o opinioni. Usare ‘oppositori ai diritti LGBT’ o una frase simile al posto di ‘omofobi’ quando si descrivono persone in disaccordo con gli attivisti per i diritti LGBT».

In un’email inoltrata dal responsabile delle relazioni con i media, Paul Colford, il vice standard editor (vice responsabile qualità dei contenuti, ndt), David Minthorn, ha chiarito meglio la ratio che sta dietro il cambiamento:

«Noi pensiamo che ‘omofobia’ e ‘islamofobia’ abbiano due difetti: non sono specifiche e possono implicare una diagnosi psichiatrica. Abbiamo sempre mantenuto, con i nostri lettori, l’impegno di dire esattamente quello che intendiamo. Al posto di termini che cerchino di descrivere generiche condizioni mentali, preferiamo sempre descrivere quale sia la posizione di una persona o in quale modo agisca. Una certa persona o un certo gruppo affermano che i gay sono immorali? Si oppongono al matrimonio gay? Si oppongono ai gay nell’esercito? Solitamente insultano i gay? Il signor Jones si chiede se l’Islam sia una religione? Dice che l’Islam non dovrebbe essere alla base delle leggi di uno stato? Istiga alla violenza anti-Islam? Determinate specifiche spiegano al lettore i punti che sono al centro delle questioni e consentono di reagire a essi. Come risultato, il lettore ottiene informazioni più accurate».

È una questione «ponderata, di principio e ostinata nell’errore». John E. McIntyre, esperto di linguaggio del “Baltimore Sun”, scrive di una precedente e simile spiegazione di Minthorn. «Omofobia – dice McIntyre – è usata perché è utile a descrivere un fenomeno identificabile».

«Se i redattori dello Stylebook di AP volessero scoraggiare l’uso di certe parole solo perché utilizzate male o fraintese, sarebbe il caso di farlo con moltissime altre parole prima di omofobia».

«Le parole che terminano con ‘fobia’ sono comunemente usate al di fuori di contesti clinici» spiega il linguista del “Boston Globe” Ben Zimmer a Kate Woodsome di “Voice of America”. «Xenofobia – fa notare – è stata riferita per più di un secolo all’odio verso gli stranieri. Non è una condizione clinica alla stessa maniera in cui ‘omofobia’ non è una diagnosi».

Su “Slate”, Nathaniel Frank scrive che la paura dei gay non è un disturbo, ma quasi. «Il latente sentimento anti-gay – che le persone mantengono quando non si informano o quando accettano passivamente i precetti religiosi – può essere più una convinzione che una paura», scrive.

«Ma gli attivisti anti-gay non sono latenti. Fanno specifiche richieste basate sul fatto che i gay sarebbero un pericolo per il loro stile di vita e dovrebbero quindi essere inibiti. Con la maggiore e recente retorica, i leader anti-gay stanno producendo rivendicazioni su determinati problemi – che si rivelano tutti falsi».

Sul “Guardian”, Patrick Strudwick dice che “omofobia” descrive perfettamente la condizione di essere anti-gay, una condizione che sarebbe «senza eccezioni, almeno in parte alimentata dalla paura».

«Paura dell’ignoto, paura di un’attenzione sessuale non voluta, paura della trasgressione dei ruoli di genere, paura che l’essenza umana venga spazzata via da un diffuso boom, paura che l’invasione degli omosessuali smantelli il matrimonio, la famiglia, la chiesa e qualsiasi altra istituzione considerata vagamente cara. E, naturalmente, non dimentichiamo: paura di qualcosa di represso e sconosciuto che sta dietro l’omofobia. Paura irrazionale. È una fobia, gente».

«Scacciare la descrizione di questa paranoia è essere collusi con essa, ripulire l’odio e il pregiudizio» scrive Strudwick.

Correlati: articolo del 1992 di Michelangelo Signorile sui gay e il New York Times.

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