pC_iconHRPubblichiamo una traduzione dell’articolo di Mathew Ingram apparso ieri su PaidContent che tratta il discorso dell’oggettività giornalistica. Secondo il public editor del New York Times, e non solo, la trasparenza sarà la nuova oggettività. È logico continuare con “secondo Tizio sarebbe così” quando si sa perfettamente come stanno le cose?

Il public editor del New York Times: a volte la trasparenza trionfa sull’oggettività

Margaret Sullivan, public editor del New York Times, sostiene che in alcuni casi la trasparenza dei giornalisti può surclassare il principio di oggettività, ma anche che i reporter dovrebbero evitare di esprimere opinioni. Sfortunatamente per il NY Times, questo cavallo ha già lasciato la stalla.

L’oggettività come sacrosanto principio dell’industria del giornalismo si sta forse indebolendo? Ci sono stati alcuni segnali in questa direzione, non ultimi alcuni post del public editor del New York Times, Margaret Sullivan: nel più recente, la giornalista sostiene i benefici del permettere ai reporter (in alcuni casi) di inserire se stessi e le proprie opinioni in un articolo, e in un altro post concorda con il professore di giornalismo Jay Rosen, sul fatto che la cosiddetta “visione da nessun luogo” – il rigido equilibrio prodotto da una spinta all’oggettività troppo aggressiva – non offra realmente un servizio in più, alla lunga, ai lettori.

Nel suo ultimo post, Sullivan prende come esempio il caso di Scott Shane, giornalista del New York Times, il quale ha scritto un articolo sull’ex agente Cia John Kiriakou, in carcere per aver fornito alcune informazioni riservate ai giornalisti, tra cui alcuni dati relativi a un suo collega della Cia e al suo coinvolgimento nella cattura di un sospetto terrorista. Il giornalista che ha pubblicato queste informazioni – durante una serie di interviste a microfoni spenti con Kiriakou – non è altri che Scott Shane, che ha raccontato l’accaduto nel dettaglio in un recente articolo per il NY Times.

Oggettività, imparzialità e “Visione da nessun luogo”

Nel suo post sulla questione, Sullivan rileva che il NY Times è stato criticato da un buon numero di giornalisti e altri osservatori – tra cui l’ex direttore dell’unità investigativa al Miami Herald – per aver permesso a una persona coinvolta in una storia di raccontarla. Questo è stato un “evidente conflitto d’interessi”, ha detto il redattore dell’Herald, affermando che il NY Times avrebbe dovuto assegnare a qualcun altro la stesura dell’articolo intervistando Shane per conoscere la sua versione della storia. Ma Sullivan non è d’accordo:

«In questo caso, nessun altro avrebbe potuto raccontare questa importante storia così bene. Quelli che l’hanno letta hanno imparato molto sul modo in cui lavorano governo e giornali, più di quanto essi lasciassero intendere prima di questo articolo. È il genere di storia che ti fa pensare; potrebbe porre dei dubbi sullo status quo. È una bellissima definizione di quello che il giornalismo effettivamente fa».

Sullivan aveva anche affrontato la questione di trasparenza e oggettività in senso più ampio pochi giorni prima, chiamandola “una disciplina in crescita molto importante e complessa”. Ha poi riportato una conversazione avuta con Rosen nella quale il docente di giornalismo della New York University ha parlato di come un articolo fermamente oggettivo possa diventare un inutile esercizio di “lui ha detto/lei ha detto”. “La visione da nessun luogo sta lentamente diventando difficile da credere” ha detto Rosen, mentre l’espressione del punto di vista dell’autore può renderne il lavoro un po’ più affidabile.

Il public editor del NYT ha rivelato che non era preparata ad ammettere che “la trasparenza è la nuova oggettività” (una definizione coniata da David Weinberger del Berkman Center per Internet e la Società), ma concorda sui meriti di questa idea – almeno nella misura in cui significa che i giornalisti dovrebbero “lasciare che i lettori conoscano il loro background, la loro personalità e come svolgono il loro lavoro”. Sullivan è d’accordo nel ritenere che la “visione da nessun luogo” sia da buttar via. Ma sostiene ancora che l’espressione dell’opinione in pubblico da parte dei reporter sia un problema, ed è ciò che il NY Times non dovrebbe consentire:

«Il NYT dovrebbe continuare a rafforzare proprie regole che allontanino i giornalisti dalle più visibili forme di partigianeria: contribuire a campagne, partecipare a manifestazioni o fare apparizioni pubbliche per sostenere candidati o cause. Sarebbe difficile per i lettori credere che un reporter che abbia contribuito a una campagna o promosso la partecipazione a una manifestazione pro aborto possa raccontare senza faziosità».

La trasparenza non rimpiazza le altre virtù giornalistiche

L’unico problema con questo approccio è che somiglia molto a Canuto il Grande che ordinava all’oceano di non avanzare oltre: vietare le manifestazioni ai giornalisti è una cosa, ma che dire a proposito dell’esprimere opinioni su Twitter? Tutti dovrebbero prendere le annotazioni dell’editor del NYT come fossero una social-media tata, come ha fatto recentemente Jodi Rudoren, capo della redazione di Gerusalemme? I reporter dovrebbero smettere di iscriversi a gruppi Facebook o dare un “like” a certe cose? Perché a Shane è permesso di raccontare le proprie impressioni sulle cose, mentre a Rudoren no? In un post successivo di Sullivan, Rosen parla di questo particolare cavallo che ha già lasciato la stalla:

«L’assenza di opinioni intesa come fiducia nella produzione di notizie è diventata un’assenza di voce per il singolo autore. Egli è ora in decadenza, specialmente con i social media e le interazioni a doppio senso tra giornalisti e utenti… Il costo di rimanere attaccati ai modelli standard della creazione di fiducia sono visibili e in aumento, e sempre più i giornalisti stanno cercando una via d’uscita».

Il punto principale di Rosen, da quanto si capisce, è che la trasparenza e l’onestà intellettuale non dovrebbero essere visti come antitetici alle altre virtù del giornalismo – cose come onestà e precisione, ad esempio – ma come utili aggiunte al moderno approccio giornalistico. Alex Howard di O’Reilly Media si chiede se i giornalisti adotteranno una forma di metodo scientifico, considerando le proprie ipotesi e le relative prove durante la costruzione di un articolo, e questa è certamente un valido stimolo a prossime discussioni.

Alla lunga, vale la pena chiedere che cosa possiamo ottenere permettendo ai reporter di essere umani quando svolgono il loro lavoro, invece di chiederci solamente che cosa perdiamo, e i post di Sullivan sembrano un passo in quella direzione – sebbene uno molto piccolo.

In copertina: Hunter S. Thompson, giornalista statunitense che ha fatto della non oggettività una vera arte, inaugurando quel filone giornalistico noto come gonzo journalism.

Una risposta a "La trasparenza sarà la nuova oggettività? Se la cautela è ignavia"

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