149319_10151409697235199_305771175_nLa crisi dei giornali miete sempre più vittime. Una delle ultime notizie riguarda il gruppo Rcs, che pubblica due tra i quotidiani più importanti del paese: La Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera. Si parla di 800 esuberi tra tutti i comparti produttivi, per non parlare del paventato cambio di sede, che porterebbe via i due giornali dalla storica palazzina in via Solferino (La Stampa, invece, lo ha già fatto). Nel frattempo possiamo notare in altri giornali un drastico taglio della foliazione. Questo significa meno spazio, meno articoli e meno lavoro. Di conseguenza meno giornalisti. Se già quello del giornalismo era un settore complesso, che richiedeva anni di precariato prima di poter avere una posizione stabile, oggi, con queste condizioni, buttarsi in questo campo è poco meno che fare un salto nel buio, a quanto pare.

Naturalmente questa situazione tocca tutti i settori, ma è chiaro che in situazioni già vessate dal precariato gli effetti possano apparire devastanti. Il risultato è che quello del giornalista sta diventando un mestiere che mediamente “non dà da mangiare”, se non addirittura un mestiere gratuito. Siamo ancora lontani – per fortuna – dalla totale gratuità della produzione di informazioni, ma ci stiamo muovendo in quella direzione. Ma se da un lato il valore del lavoro giornalistico si sta svalutando in termini economici, non è detto che ciò accada anche nelle competenze. Chi sa lavorare, è capace indipendentemente dallo stipendio che percepisce. Dando per assodato questo, allora possiamo dire che è possibile portare avanti la professione giornalistica con qualità trovando fonti di sostentamento alternative, salvando così l’informazione. Banalmente: in attesa che passi il periodo di crisi è possibile sopravvivere facendo altro.

La soluzione è reinventarsi, senza necessariamente cambiare settore (restando, quindi, nella comunicazione) ma applicando le proprie competenze per fini diversi. Non è svendersi, ma adattarsi. Il giornalista che temporaneamente si butta nel content marketing, o nella comunicazione sui social media utilizza competenze che ha già per un servizio differente dal giornalismo. Nel frattempo, può continuare a svolgere la propria vera professione, con le dovute proporzioni, in attesa che la crisi passi. Ma per farlo bisogna superare almeno due ostacoli: l’orgoglio e l’ambizione. Il primo, che si traduce nella tipica spocchia che tanto fa odiare la categoria, è fondamentalmente inutile. La seconda, si può riporre, ma non troppo, perché è anche possibile che, facendo un lavoro leggermente diverso, si scopra che quell’ambizione canaglia si può soddisfare in un’altra maniera. Più efficace.

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Copertina: lacanas.it
Foto: viralmente.blogspot.com

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