Back to the Journalism –  La dura vita di un giornalista che per continuare a fare il giornalista deve fare un altro mestiere

giornalismo-socialeInauguro questa piccola rubrica spendendo prima due parole sul suo senso. Sebbene la descrizione già chiarisca molto, è utile precisare che in un periodo come quello che stiamo passando, il giornalismo rischia di diventare sempre più un mestiere gratuito, bellissimo ed emozionante, certo, ma faticoso e poco remunerativo. Come fare per non abbandonare i propri sogni e allo stesso tempo riuscire a campare? Semplice: facendo un altro mestiere e nel frattempo continuando a scrivere. Sarà ancora più faticoso e di certo il giornalismo ne risentirà, ma forse è possibile non disperdere le proprie competenze svolgendo una professione diversa, ma non troppo.

Il web sta creando nuovi mestieri – qui potrete trovare le 21 professioni conformi all’Agenda Digitale, tanto per dire – ed è proprio in questo campo che la comunicazione riveste un ruolo cardine, forse più che in altri settori. Il giornalista che ha competenze di sintesi e editing dei contenuti potrà facilmente riadattarsi alla comunicazione web. Basta sfogliare a caso alcuni siti di associazioni o aziende per capire immediatamente che chi ha scritto certe pagine abbia un impellente bisogno di qualcuno che lo aiuti. O che magari gli spieghi che scrivere un “Chi siamo” di 5 pagine non è la soluzione migliore per farsi capire.

Il lavoro giornalistico è fatto di battute e secondi da riempire, senza sforare, per stare in pagina o nei servizi radio e tv. In quegli spazi minuscoli siamo abituati a dovere per forza farci capire – a volte ci riusciamo, a volte meno – e un luogo come il web, soprattutto alla luce dell’esplosione dei social media, richiede competenze di sintesi e chiarezza. Naturalmente, per prestarsi a un’altra professione, è il caso di ricordarsi che le dinamiche sono leggermente diverse. Parliamo di marketing, e in questo caso il rapporto giornale/lettore è inverso rispetto a quello azienda/cliente. Se nel caso del giornalismo – ma ultimamente un po’ meno – è il lettore che va a cercarsi gli articoli, nel caso delle aziende sono esse stesse che devono andare a procacciarsi i clienti. La comunicazione non può dimenticarsi di questo aspetto. Nel primo caso c’è spesso una comunicazione monodirezionale (io do le notizie, tu le leggi), nel secondo caso è sempre più richiesta una comunicazione bidirezionale (negoziamo costi e generi di servizio).

Molte aziende stanno finalmente investendo sul web e sui social media, e le caratteristiche dei mezzi, ma soprattutto il loro affollamento, richiedono messaggi il più possibile brevi ed efficaci. Non bisogna improvvisarsi, però, è il caso di studiare un po’ e guardare cosa fanno quelli che svolgono questo mestiere da più tempo. La comunicazione web, come il giornalismo, è un mestiere che si può imparare sul campo, ma qui – soprattutto per l’influenza dei social media – gli errori pesano di più. E non mi riferisco alle querele per un articolo troppo spregiudicato (non sto prendendo in esame questa eventualità), ma a errori molto più banali che possono costare cari. Un link che non funziona, un tweet sgrammaticato, un post pubblicato a orari improbabili. Questi errori non faranno incazzare nessuno, ma rischieranno di vanificare una strategia di marketing, il che è molto peggio. La non reazione è molto peggio della reazione, qualunque essa sia.

Intanto, dopo aver postato e twittato tutto il giorno, si potrà scrivere quell’articolo per quel giornale, ovviamente sottopagati, con la consapevolezza di sentirsi un po’ più forti nel pretendere un pagamento, o un riconoscimento, in quanto non più dipendenti, per la sopravvivenza, da una testata. E più sereni nell’attendere ancora un po’ prima che qualche editore ricominci ad assumere. Temo che in questa situazione la qualità generale dell’informazione ne risentirà, ma il calo di lettori indurrà qualcuno a invertire la tendenza. Presto o tardi.

Copertina: blog.stefanotesi.it
Foto: dirittodicritica.com

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