Quello che emerge dalle urne è un paese spaccato, all’interno del quale nessun partito è riuscito a prevalere sugli altri. L’ottimo risultato del Movimento 5 Stelle, che alla Camera è il primo partito, e il grande recupero del Popolo della Libertà aprono a un ragionamento sulla comunicazione. Si tratta di due soggetti politici che si sono fondati su due strategie comunicative dirette e immediate, che a quanto pare hanno funzionato. Dall’altra parte, la coalizione guidata dal Partito Democratico si è arenata proprio su questo punto. Farò un’analisi di questi tre soggetti politici (che sono i principali) senza scendere nei dettagli dei programmi, anche per esigenze di spazio.
Prima però due dati sui quali riflettere, che riguardano l’astensionismo. A livello nazionale è aumentato del 5%, mentre alle regionali è sceso dell’11%. Si tratta di numeri da non sottovalutare, soprattutto alla luce della distanza percepita tra elettori e partiti. Probabilmente la vicinanza, reale o percepita, paga.
Beppe Grillo e Silvio Berlusconi hanno agito nella direzione di una semplificazione del messaggio, facendo leva sulla crisi e sulla situazione economica media del Paese, intercettando gli umori della stragrande maggioranza della popolazione che si sente esausta e stufa, con l’acqua alla gola. Proviamo a capirne il perché. Partiamo dal Movimento 5 Stelle.
Il leitmotiv “Tutti a casa!” ha prevalso sulle diverse questioni di discussione che hanno animato il dibattito e gli attacchi al movimento, in particolare sulla presunta mancanza di democrazia interna e sul ruolo di Gianroberto Casaleggio. Questi argomenti non interessano all’elettorato a 5 stelle, perché probabilmente non sono percepiti come urgenti rispetto alle necessità del Paese. Grillo ha spinto sul rinnovamento, dando le colpe di questa situazione economica disastrosa alla classe dirigente che finora è stata in Parlamento. Ha funzionato perché semplicemente è ciò che pensano in molti. Non si è preoccupato di chiarire come farebbe, anche perché non sembra interessare a nessuno dei suoi elettori. L’idea stessa del “fare piazza pulita” non richiede particolari strategie. Il pensiero diffuso è che nei palazzi del potere ci siano persone che mangiano fino a scoppiare con i nostri soldi, senza preoccuparsi del paese. Che cosa è stato fatto, in tempo utile, per comunicare il contrario? Nulla.
Naturalmente Grillo non si è svegliato al mattino dicendo “Tutti a casa!” e riempiendo le piazze con questo, ma nel corso degli anni a partire dall’apertura del suo blog, forte della propria popolarità, ha mostrato l’esistenza di alternative possibili. Senza curarsi di spiegare se ciò che funziona all’estero possa funzionare anche in Italia. Ha costruito un immaginario positivo che contrasta con la realtà negativa che viviamo qui; sostituendo i nostri dirigenti con persone nuove portatrici di questo immaginario, Grillo può risolvere i problemi semplicemente eliminandoli. Una strategia comunicativa di questo tipo è potentissima e carpisce soprattutto chi ha poca voglia di verificare le fonti, o chi non ne ha la possibilità. Udite udite, questo genere di persona è la maggioranza ed è caratterizzata da una forte diffidenza in tutto ciò che c’è stato finora. Soprattutto politici e media. E va detto che né politici né media abbiano mai fatto chissà che per farsi voler bene. Non importanto cosa arrivi, l’importante è che sia nuovo.
Discorso simile per la coalizione guidata da Silvio Berlusconi, caratterizzata da una forte identificazione nella persona del leader carismatico (come il Movimento 5 Stelle). Anche in questo caso, Berlusconi offre alternative possibili, ma ben più immediate rispetto a quelle proposte da Beppe Grillo. La mossa del “rimborso Imu”, con la lettera inviata via posta a pochi giorni dal voto, intercetta l’elettorato più esasperato, che si trova o si percepisce sotto la soglia della povertà. Un elettorato che vede un nemico nel governo Monti, che ha aumentato le tasse e reintrodotto l’Ici sulla prima casa, chiamandolo Imu. Un elettorato opposto all’idea del professore che studia e propone soluzioni. L’uomo comune contro l’uomo elitario. Con chi si identificherebbe facilmente il popolo? Poco importa se per identificarsi nell’uomo comune si voti una coalizione guidata da un altro uomo elitario, che però si presenta come guascone, dozzinale e “alla buona”. Impossibile, per Mario Monti, reggere il confronto. Lui è l’uomo elitario per definizione, anche se adotta un cane e si fa una birra in tv. Ha rincorso Berlusconi e, come sempre accade in questi casi (chiedere al Centrosinistra), ha perso.
Anche qui si nota una probabile disaffezione dai contenuti dell’elettorato medio del Centrodestra, perché gli effetti delle scelte di governo sono inequivocabili: più tasse. E quando ci sono più tasse solitamente ci rimettono i più poveri (l’uomo elitario sfrutta l’uomo comune). Berlusconi fornisce subito un’alternativa possibile: vi tolgo l’Imu e vi restituisco quella del 2012. Una sorta di Robin Hood, l’uomo elitario che sceglie di aiutare l’uomo comune nonostante appartenga a un diverso strato sociale: nelle funzione narrative, questo è la definizione di eroe. Come Berlusconi possa fare tutto questo non è importante, ma la prospettiva di avere soldi e meno tasse è ghiotta. Lo dimostrano le code di anziani alle poste per chiederne le modalità. L’elettorato medio (al netto dello zoccolo duro) sembra quindi essere piuttosto passivo. Perché dovrebbero interessarsi dei procedimenti giudiziari a carico di Berlusconi? Dei bunga bunga, della depenalizzazione del falso in bilancio e della sua considerazione della donna? Tutto questo rientra nel personaggio che si è costruito, perciò è normale che sia così. E se è normale non è una colpa. La narrazione costruita dal centrodestra è sempre la stessa. Occhio però a non sopravvalutare il risultato, gli italiani iniziano a stufarsi: alle politiche del 2008 il Pdl aveva il 37%, oggi il Pdl con Fratelli d’Italia (che si è scisso), arriva al 24 circa.
Discorso a parte meritano gli altri soggetti all’interno della coalizione. Prendo a esempio l’appena citato Fratelli d’Italia. La scissione operata da Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio La Russa, è riuscita a intercettare i voti dei delusi di centrodestra, arginando in parte l’emorragia che li ha portati all’astensionismo e al Movimento 5 Stelle. Fratelli d’Italia si pone come partito pulito e fedele agli ideali di centrodestra, con una dichiarata distanza dal Pdl (Giorgia Meloni: «Mi vergogno del Pdl»). Recupera i voti di chi si ritiene di centrodestra ma non sopporta più Silvio Berlusconi, però sta nella coalizione con lui. In pratica i voti escono dalla porta e rientrano dalla finestra.
Passiamo quindi dalla semplificazione alla complicazione. Il Partito Democratico, soggetto centrale della coalizione di centrosinistra, ha dato vita a una narrazione diversa e più complessa, fondata sulla pretesa di dare soluzioni ai problemi. Il linguaggio di diversi politici, Bersani in primis, è parso distante dall’elettorato, con parole difficili e concetti complessi spiegati malamente, caratterizzati dall’ostentata superiorità di essere l’Italia giusta. La mancanza di soluzioni immediate (difficilmente proponibili) ha pesato molto nel confronto con gli altri due schieramenti, e al contempo lo stridere del linguaggio complesso e barocco di molti esponenti con la leggerezza delle battute sui giaguari ha disorientato gli elettori. Mentre Berlusconi proponeva il rimborso dell’Imu, il Pd non trovava nulla di meglio se non pubblicare battute di dubbio gusto sul proprio profilo Facebook. Mentre Grillo riempiva le piazze, il Pd pubblicava un video nel quale una ventina di persone danzavano su un terrazzo cantando “Lo smacchiamo! Lo smacchiamo!”. Il Centrosinistra era sempre da un’altra parte.
La narrazione creata da Bersani ha tentato di inserire contenuti, ma anziché fornire soluzioni come pretendeva di fare, ha consegnato all’opinione pubblica problemi di cui discutere e sfottò. Ma se il battutismo fa parte del personaggio Grillo e del personaggio Berlusconi, nulla ha a che vedere con il personaggio Bersani. Inseguendo gli altri due sul loro terreno, è rimasto indietro.
Sicuramente ha pesato molto lo scandalo Monte dei Paschi di Siena, che il Pd non è riuscito a gestire bene e che è stato utilizzato dal Pdl e soprattutto del Movimento 5 Stelle come punta di diamante nella lotta alle banche. Gli istituti di credito sono infatti considerati dall’opinione pubblica come responsabili della crisi economica. Facilissimo, quindi, creare l’equazione Politica/Pd = banche/crisi. La questione è stata sottovalutata e Berlusconi e Grillo, soprattutto quest’ultimo, ne hanno approfittato senza troppi sforzi. In sostanza, come si dice in gergo giornalistico, Bersani non era mai “sul pezzo”. Mentre il Paese era in difficoltà e gli altri si prendevano l’elettorato, il Pd parlava di smacchiare giaguari perché pensava di aver già vinto. Questo è il messaggio principale che è passato.
A questo punto lo scenario che si configura è piuttosto disastroso. Non c’è una maggioranza in grado di governare e le tre forze principali, Centrosinistra, Centrodestra e Movimento 5 Stelle, appaiono inconciliabili tra loro, quindi niente governo “di larghe intese”. A meno di non trovare un accordo per la riscrittura della legge elettorale e poi, nel giro di pochi mesi, tornare al voto, magari chiedendo di nuovo l’intervento di un governo tecnico. L’instabilità resterebbe però appiccicata, più che agli altri, al centrosinistra. Ne approfitterebbero il Centrodestra e Grillo, mentre Bersani potrebbe lasciare il posto a Renzi. Ma di questi possibili scenari futuri non ci occupiamo ancora.