Il cambiamento del modello comunicativo al quale eravamo abituati ha dotato il giornalista di molteplici strumenti, che possono essere utilizzati per arricchire la cronaca di un evento. Non basta più un “semplice” articolo di giornale per raccontare un fatto, ma i contributi multimediali, oltre a essere sempre più richiesti, possono far leva sull’interesse del lettore, sempre più bombardato da informazioni di ogni tipo e con una soglia di attenzione sempre più bassa.
All’interno della grande ubriacatura social, che si sta evolvendo in un nuovo modo di trasmettere informazioni (altro che fenomeno folkloristico da trattare nelle sezioni di costume!), ci sono strumenti che possono aprire nuove possibilità al giornalismo, un tempo forse nemmeno immaginate.
Partiamo da Vine, app piuttosto recente cha ha subito aperto un dibattito sulle sue utilità giornalistiche. C’è chi, come il solito Corriere della Sera, l’ha bollata come una applicazione goliardica che attrae frotte di onanisti, inutile dal punto di vista giornalistico perché i video di 6 secondi che permette di postare sono riprodotti in loop (sic!). E c’è chi, invece, ha ipotizzato un utilizzo ottimale per la cronaca in tempo reale di un avvenimento, potenzialità decisamente più interessante. Vine permette di registrare un video e diffonderlo immediatamente, questa caratteristica deve quindi sposarsi con una brevità dei filmati (per questo il limite). Lo strumento è pensato per Twitter, che senso avrebbe registrare video di alcuni minuti? Questa applicazione consente di arricchire il racconto giornalistico con video registrati quasi nel momento stesso in cui si condividono. Una via di mezzo tra il servizio tv e lo streaming.
Chiaramente l’utilità di uno strumento deriva dall’utilizzo che se ne fa, e Vine si presta molto agli utilizzi “artistici”, poiché consente di realizzare video in stop motion. La registrazione avviene tenendo premuto il dito sullo schermo (Vine è solo, al momento, per iPhone), quindi può essere fermata e riavviata a piacimento, magari spostando manualmente un oggetto per poi dare l’idea del movimento una volta “montato” il video. Questo utilizzo più creativo poco si sposa con l’utilità giornalistica, a meno di non trovare una formula che al momento mi sfugge, ma non basta per bollare come inutile l’intero strumento.
Per Instagram il discorso è leggermente diverso. Lo strumento basa la propria fortuna sull’alterazione delle immagini, quindi è sicuramente meno utilizzabile ai fini della cronaca pura dell’evento, che può restare appannaggio del testo scritto (tweet, post, articolo). Ma i filtri che spesso vengono utilizzati per rendere “poetica” l’immagine dei propri piedi in riva alla spiaggia, o qualcosa di simile, possono fungere da interpretazione dell’avvenimento fotografato. Il filtro applicato all’immagine ne diventa aggettivo, dando una connotazione all’immagine stessa. Con l’uragano Sandy, negli Usa, Instagram è diventato il veicolo principale del racconto collettivo sugli effetti della calamità naturale. Ne parla anche Umberto Lisiero nel suo libro News(paper) revolution.
Il sistema degli hashtag (simile a quello di Twitter) stimola il crowdsourcing, ma lo strumento è utile per arricchire e differenziare i contenuti giornalistici proposti per raccontare un avvenimento. Fanno leva sul lato emotivo del lettore e quindi sono perfetti per la cronaca. L’importante è non abusarne per non trasformarsi in un giornalista-hipster che fotografa e basta senza spiegare nulla di ciò che pubblica. Equilibrio, insomma. E poi, per fare i fotoracconti ci sono i fotoreporter, che fanno benissimo il loro lavoro e l’hanno sempre fatto ben prima di Instagram, qui parliamo di sprazzi di colore all’interno di flussi di parole.
Veniamo a Tumblr. Lo lascio per ultimo perché si tratta di uno strumento ancora poco compreso in Italia, dal punto di vista giornalistico, che invece può dare grandi soddisfazioni. Si tratta di un vero e proprio blog con un funzionamento molto più “liquido” rispetto ai blog normali. Infatti è aggiornabile direttamente da altre app (ad esempio Instagram) e si configura come un contenitore di contributi fluidi, soprattutto testi brevi, link e immagini. Hanno avuto molto successo i Tumblr tematici, come ad esempio il celebre Choosy sarai tu, nato come forma di protesta alle dichiarazioni dell’ex Ministro Fornero sui giovani italiani “troppo choosy“. Il blog ha raccolto migliaia di contributi, dando forma e voce all’indignazione. Un successo. Ora è stato chiuso perché la sua “missione” si è esaurita, ed è giusto così.
Ecco che un Tumblr può essere utilissimo come aggregatore tematico di informazioni relative a un argomento, sia esso temporaneo o permanente (ad esempio i blog che raccolgono immagini dalle città dei rispettivi proprietari) e catturano un pubblico iper selezionato che sa già di essere interessato ai contenuti proposti. Conoscere questo mezzo è indispensabile per intercettare le necessità dei lettori e fornire un angolo chiaro e ordinato per trovare ciò di cui si ha bisogno, senza creare un giornale generalista che parla di tutto e non parla di niente. Ma è soprattutto un luogo dove raccogliere i contenuti temporanei prodotti dai racconti in tempo reale.
Siamo quindi al liquid journalism, il racconto fatto di contenuti immediati e temporanei che copre lo svolgimento di un fatto in tempo reale (o quasi), e che ha senso solo se affiancato al lavoro giornalistico tradizionale, caratterizzato dalla verifica delle fonti e dall’approfondimento delle notizie. Una sperimentazione che può dare una forma definita al giornalismo sui social network, che dopo un (lungo) momento di spaesamento deve prendere una strada concreta nella gestione del flusso di informazioni senza smarrire la propria identità.
Una risposta a "Vine, Tumblr e Instagram per il liquid journalism"