I fatti di cronaca nera stimolano sempre quel lato morboso, e voyeur, dell’essere umano, motivo per cui c’è interesse intorno a certe vicende. Ultima di queste è sicuramente l’omicidio di Udine , che parrebbe essere molto simile, per dinamica, a quello descritto in un film. Insomma una storiaccia molto “suggestiva” e che facilmente si presta a diventare argomento di interesse. Ma la cronaca nera è così, può piacere o non piacere.

Quello che invece andrebbe pesato è il linguaggio, che spesso si rifà – credo inconsapevolmente – alla sfera letteraria dei romanzi thriller. Per quale motivo è necessario dire che «Silvia Gobbato (la vittima dell’omicidio di Udine, ndr) è stata massacrata»? (fonte: TgLa7) Non basterebbe semplicemente dire “colpita” o “aggredita” o ancora “assassinata”? La parola massacrata crea subito un’immagine truce che nulla aggiunge o toglie al fatto che questa persona sia morta. Probabilmente chi ha firmato il servizio non se n’è neanche reso conto, ma questo linguaggio è inutile, dato che l’azione è già di per sé violenta. Aumentare la componente tragica rischia di spettacolarizzare (e siamo sempre lì) l’omicidio, portandolo a una dimensione narrativa.

Di per sé non sarebbe così malvagio, ma la narrativa e la cronaca sono due cose completamente diverse, dato che la prima è finzione, l’altra no. Dunque se si crea una narrazione della cronaca nera, è probabile che lo spettatore si appassioni alle vicende tragiche esclusivamente per il modo in cui vengono raccontate, dimenticandosi della morte reale delle persone. Interessa più il racconto della storia. Ma per fare queste cose ci sono già i romanzi, gli scrittori, gli attori, i film, il teatro, eccetera. La sovrapposizione del giornalismo a questo mondo, ancora una volta, confonde le cose.

Ci sono altri esempi. Sempre sulla tragedia di Udine – non è un massacro, non serve dire che la vittima è stata trucidata, l’assassino non ha infierito con 12 coltellate, cosa diavolo ce ne importa di quante coltellate siano state inferte? – oggi il Tg1 ha sfoderato una vera perla. La Polizia ha arrestato l’assassino, un 36enne, che ha rivelato di aver tentato di rapire la vittima per chiedere un riscatto, invece è finita ben peggio. Il servizio, fra le altre cose, lo descrive così: «[…] non sarebbe né tossicomane né psicopatico Nicola Garbino, è solo un uomo che a 36 anni vive ancora con i genitori […]» (min. 13:47). Ci sarebbe da discutere su quel “non psicopatico”, ma tralasciamo, questa descrizione sottintende che tutti gli uomini 36enni che vivono con i genitori sono potenziali assassini? L’errore è probabilmente dettato dalla necessità romanzesca di dare una motivazione alle azioni dei personaggi, ma il giornalista fa un altro lavoro, e trovare un movente spetta alla Polizia. Creare a tutti i costi una narrazione porta a queste facili e fastidiose banalizzazioni che nulla aggiungono ai fatti raccontati, ma rendono solo più pittoresco un racconto che di pittoresco ha ben poco.

Il servizio si conclude e l’annunciatrice, Francesca Grimaldi, introduce un’altra storia di cronaca nera, quella di una cameriera presunta suicida. Lo introduce così: «Il giallo di Rimini, forse è ad una svolta il caso della cameriera morta con un coltello piantato nel cuore […]» (min. 14:25). Qual è la necessità di fornire questo dettaglio macabro? La dimensione narrativa è talmente presente che l’indifferenza con la quale viene pronunciata quella frase non fa nemmeno rabbrividire. Se avesse detto “il caso della cameriera morta a Rimini” sarebbe cambiato qualcosa dal punto di vista della notizia? Probabilmente no.

La morbosità si alimenta del dettaglio di come un omicidio avviene, come viene descritto, come si è difesa la vittima. Ma queste cose interessano solo agli inquirenti e agli scrittori. Forse è pura utopia. Questa sovrabbondanza di dettagli macabri con scopo narrativo finisce con l’anestetizzare il pubblico, che senza rendersene conto ascolta o legge truci racconti di cronaca come se sfogliasse pagine di Edgar Allan Poe. Come si diceva nel post precedente, il pubblico non va sempre assecondato, narrativa e giornalismo sono due cose molto diverse. Trattare le storie con rispetto dovrebbe essere un pilastro sacrosanto.

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