L’agitazione che in questi giorni sta attraversando gli ambienti giornalistici italiani risulterà quasi invisibile al pubblico, eppure è il pubblico stesso a essere toccato dal rinnovo del contratto giornalistico. Solitamente i cittadini italiani si lamentano – a ragione – della scarsa qualità dell’informazione, dell’approssimazione e della faziosità. Molti insinuano diverse connivenze col potere e ipotizzano una diffusa corruzione – questo un po’ meno a ragione – all’interno dei giornali.
Cosa c’entrano il contratto giornalistico e l’insofferenza verso i giornalisti che negli ultimi anni si è saldamente affermata in Italia? Posto che l’informazione è un servizio, la qualità scende principalmente per due motivi: non c’è interesse nel garantire un servizio migliore, non c’è la possibilità economica di garantire un servizio migliore. Tralasciamo il primo punto, per il quale servirebbe un trattato di sociopolitica, e occupiamoci del secondo. La vera domanda è: tu, lettore, sei disposto a pagare per essere informato?
Prima di rispondere, chiarisci esattamente cosa significhi “informato”. Quello che solitamente si contesta ai giornalisti è di diffondere informazioni non verificate. Se ne deduce quindi che il lettore è informato quando apprende notizie verificate, ma la verifica delle notizie richiede tempo e competenze, al fine di offrire un servizio all’altezza della domanda. Dare una notizia è anche approfondire un tema, arricchirlo con informazioni utili e offrire spunti di analisi. Tutte cose che si possono fare solo dopo aver accumulato esperienza e conoscenze. Investiresti, tu, tempo e competenze a fronte di un compenso iniquo o inesistente? Se la risposta è sì allora posso comprendere la richiesta di avere informazione di qualità senza pagarla, ma a questo punto faccio io una domanda a te: di che cosa vivresti? Perché tempo significa “ore di lavoro”, non ritagli spezzettati qua e là che non ti consentono di concentrarti per più di un quarto d’ora di seguito. E suppongo che per acquisire competenze tu abbia studiato e speso dei soldi, o magari fatto esperienze di lavoro (leggi: stage) e che giustamente tu abbia intenzione di metterle a frutto. Dopo anni passati a imparare ti sembra giusto continuare a lavorare gratis o quasi?
Sei disposto a pagare per essere informato?
Se invece la risposta è no (non investiresti tempo e competenze a gratis) allora torniamo al punto iniziale: il contratto giornalistico. Fare informazione non è scrivere un post su un blog (come quello che stai leggendo ora, che comunque mi ha portato via del tempo), ma raccogliere notizie, confrontarle, verificarle, mettere insieme un ragionamento e trovare il fulcro di una questione, decidere se è di rilievo oppure no, inserirla in un’analisi e far capire al lettore come un fatto influirà sulla sua vita o sulla comunità. Questa è la teoria, nella pratica c’è chi ci riesce e chi no, ma di base tutti lavorano per offrire un’informazione di qualità (parliamo di quelli interessati a farlo, naturalmente, ma non possiamo fare processi alle intenzioni). Allora se a fronte di tutto questo impegno non c’è un corrispettivo economico il giornalista non può sopravvivere e si aprono quattro scenari principali: cambia lavoro, fa un secondo lavoro, si fa corrompere, continua a farlo con una paga da fame.
- Cambia lavoro. Scelta più ovvia, ma tu, che vuoi svolgere una qualunque professione, ti arrenderesti subito alle prime difficoltà? Poi si fa in fretta a dire “cambia lavoro”, non è che pulluli di alternative, là fuori. Ma comunque non c’è posto per tutti, questo si sa, e perciò qualcuno lo dovrà fare prima o poi. Non tutti, qualcuno, altrimenti chi rimane a produrre informazione?
- Fa un secondo lavoro. La strada praticata da moltissimi freelance che, per integrare le proprie misere entrate giornalistiche e pagare l’affitto, diventano camerieri, commessi, magazzinieri e via discorrendo. Magari anche più cose insieme. Il problema è che solitamente il secondo lavoro (o il terzo) occupa una parte consistente della giornata ed è fonte di stress e stanchezza (non ho conosciuto ancora nessuno entusiasta di fare un mestiere di ripiego), tutte cose che deconcentrano e non permettono di lavorare in maniera serena per garantire un’informazione di qualità. Immagina di lavorare per le tue 8 ore a portare piatti e bicchieri e poi di doverne lavorare altrettante per scrivere qualche articolo, nella stessa giornata.
- Si fa corrompere. Ipotesi illegale e per questo poco praticata (spero!), ma purtroppo attuale. Poniamo che un giornalista precario in difficoltà economiche abbia, come possibilità, quella di migliorare le proprie condizioni cedendo al corteggiamento di quell’azienda lì, che se il cronista si dimenticasse di quell’inchiesta scomoda riceverebbe duemila euro in contanti, i quali risolverebbero due mesi di affitto e spese… Ah già, le inchieste, quello che attualmente manca ma che espone il freelance a cause giudiziarie, minacce, ritorsioni a fronte di compensi ridicoli (cfr. Giovanni Tizian). Vale la pena?
- Continua a farlo con una paga da fame. O non dura, quindi rimanda a una delle altre ipotesi, o vive sulle spalle dei genitori (crescere, prima o poi?), oppure è ricco. Se le cose stanno così, il giornalismo diventa un mestiere elitario, quindi non rompere le scatole se sui giornali non leggi degli operai licenziati o della discarica abusiva dietro casa tua.
Dunque, ricapitoliamo: se vogliamo garantirci informazione di qualità, dobbiamo mettere i giornalisti nelle condizioni di lavorare bene, quindi evitando che siano scoraggiati o corruttibili. E dobbiamo assicurarci che lavorino nell’interesse del lettore, quindi evitando che appartengano a una lobby o a una particolare élite. Per farlo, dovremmo garantire loro condizioni dignitose di lavoro, che si determinano attraverso un contratto collettivo nazionale. Ma se il contratto nazionale, firmato da sindacato e editori, garantisse a un precario – per legge – lo stipendio di 250 euro lordi al mese? È esattamente ciò che sta accadendo.
Questo non significa che ora gli editori abbasseranno tutti i compensi fino a quella cifra (ma questo lo vedremo nei prossimi mesi), però, se lo facessero, sarebbe legale. La cosa grave è questa. È vero, il progresso sta nel fatto che i freelance non hanno mai avuto un contratto nazionale di riferimento e ora ce l’hanno, ma a che prezzo? Per dovere di cronaca, il nuovo contratto disciplina moltissime altre cose, tra cui le pensioni e la copertura sanitaria (trovate tutto qui, ben spiegato e dettagliato). Riporto una illuminante considerazione: «[…] livelli minimi di trattamento economico per i lavoratori autonomi, livelli che sono al di sotto della soglia minima di sussistenza e di dignità professionale, e che costituiranno il modello retributivo per giornalisti precari e freelance».
Vuol dire che potenzialmente tutti i giornalisti “nasceranno” sottopagati e tali resteranno, a meno di non venire (un giorno, forse) assunti, e in ogni caso un apprendistato non garantisce più un’assunzione. Inoltre i giornalisti, nel caso di decurtazione dei compensi, non si potrebbero nemmeno lamentare con l’editore, perché è stato proprio il loro sindacato (la FNSI, cioé l’organo depositario dei diritti dei lavoratori) a firmare l’accordo. E questo non vale solo per i grandi giornali del padrone (sic!), ma anche per tutti i siti di controinformazione sparsi nel web, perché anche lì ci sono i giornalisti che scrivono notizie, sperando che tu ti affidi a fonti di informazione verificata e non faziosa e interessata (ma del resto, se i faziosi dei grandi giornali non ti piacciono, perché dovresti cercarne altri egualmente faziosi?). Sebbene “giornalista” stia diventando sempre più un marchio d’infamia (una volta era una sorta di status symbol, come cambiano i tempi), ci sono giornalisti anche dietro i siti che consulti per evitare i grandi giornali. Ecco, penso che ti interessi almeno di loro e ti interessi che restino indipendenti, non “acquistabili” da qualunque individuo possa far leva sulla loro ristrettezza economica.